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Bonatti Walter - (1930 - 2011) – (Guida)

 

 

A differenza dell’ambiente alpinistico piemontese, che fu duramente colpito dalla scomparsa dei “maestri” Gabriele Boccalatte e Giusto Gervasutti e che seppe riprendersi solo con notevole fatica verso gli anni Sessanta, l’ambiente lombardo, malgrado la guerra, si era conservato assai vitale, e tra le sue file annoverava ancora moltissimi arrampicatori di valore.

Tra tutti va soprattutto ricordato Nino Oppio, le cui realizzazioni su roccia in Dolomiti e sulle Prealpi Lombarde avevano raggiunto un livello di difficoltà tecnica superiore a quello delle vie aperte da Riccardo Cassin e Vittorio Ratti. Ma anche Oppio, certamente per la sua modestia, è un altro di quei tanti “eroi sconosciuti” che ogni tanto incontriamo sulla nostra strada. Nel suo caso, saranno i ripetitori delle sue vie a rimanere abbastanza sconcertati e sorpresi dalle fortissime difficoltà incontrate: soprattutto in arrampicata artificiale Oppio seppe fare cose che pochissimi oggi saprebbero fare, anche se dotati di tutto il raffinatissimo armamentario che certo allora Oppio non possedeva!…

Accanto al gruppo lecchese si era venuto a formare un altro nucleo di fortissimi alpinisti, che si radunavano intorno a Monza, la piccola città industriale ormai assorbita dall’espandersi di Milano.

Lo strano è che i due gruppi agirono sempre abbastanza distintamente e che avranno anche caratteristiche differenti nell’esprimersi.

Il gruppo lecchese, rappresentato dai “Ragni”, avrà sempre caratteristiche più competitive, quasi campanilistiche, dove le personalità individuali sono meno precise e meno a fuoco; non per nulla avrà sempre grandissimo successo nelle spedizioni extraeuropee, dove si richiede appunto una notevole coesione tra i partecipanti.

Nel gruppo monzese, invece, vedremo sorgere delle personalità assai definite, che agiranno al di fuori di ogni rivendicazione di paese o di provincia, ma unicamente in funzione della loro passione e del loro intento creativo.

Non è una cattiveria e nemmeno una malignità: è difficile che un “Ragno” realizzi salite con “gente di fuori”; è più facile che un monzese faccia cordata con un ligure o un torinese.

D’altronde quest’infantilismo del gruppo lecchese è del tutto naturale, ed è giustificato dalla presenza forte ed un po’ paternalistica di un Riccardo Cassin, il quale idealmente è il “padre” di tutti i Ragni ed al quale vanno rispetto, ammirazione e riconoscenza. Altrove, non essendoci padri, vi è differente crescita ed altrettanta maturazione in senso più aperto.

 

Walter Bonatti bergamasco di nascita (è del 1930) formatosi a Monticelli d’Ongina fra Cremona e Piacenza e monzese di adozione, ha iniziato giovanissimo a scalare cime impegnative: a sedici anni con gli amici Carlo Mauri ed Andrea Oggioni comincia ad arrampicare sulle rocce della Grigna (la piramide rocciosa che domina la Brianza) e si è inserito giovanissimo nel prestigioso gruppo alpinistico dei “Pell e Oss” di Monza e si è subito messo in evidenza per le non comuni doti di arrampicatore.

Dotato di ferma volontà e di grande determinazione, qualità che unite ad una notevole dose di autocontrollo gli hanno sempre consentito di valutare i problemi con la opportuna ponderazione, Bonatti ha, fin dai primi momenti, indirizzando la propria attività alpinistica verso la soluzione di problemi a quel tempo considerati estremi.

Walter Bonatti

Sappiamo che Bonatti ha alle spalle un’infanzia certamente difficile, come d’altronde è stata quella dei ragazzi che hanno vissuto la guerra ed ora si trovano in una situazione strana, come un vuoto in cui nulla si riesce a scorgere di positivo. Bonatti è uno di quei ragazzi della Grigna, che ancora non hanno visto il Monte Bianco e le Dolomiti: forse li sognano, ma per ora tutto ciò è nel mondo dell’impossibile e dell’irraggiungibile.

Ma ben presto il giovane Walter Bonatti dimostra che qualcosa lo differenzia da tutti gli altri. Non solo lo sguardo un po’ glaciale e penetrante, non solo il sorriso stretto e metallico che lascia vedere una piccola parte dei denti.

E’ soprattutto la volontà di riuscire, la straordinaria tenacia nell’agire e nell’attendere, la pazienza, la calma, al grande intelligenza che gli permette a priori di valutare con freddezza ogni situazione, formulando esattamente la teoria in modo da lasciare un minimo spazio al “probabile” nella realizzazione pratica.

Come arrampicatore è freddo, calmo, forse un po’ lento. Forse nel suo gruppo vi sono arrampicatori stilisticamente più brillanti e dotati di lui, ma sono anche più nervosi, più inquieti e meno costanti.

Bonatti non ha fretta e passa anche dove passano gli altri. Piuttosto saranno poi gli altri a non passare dove passa lui!… Forse della sua determinazione è capace di un autocontrollo divenuto leggendario, Bonatti è l’uomo che si proietta nel futuro pur restando nel presente.

Il suo razionalismo ed il suo freddo coraggio, non disgiunti da una lucida presa di coscienza del proprio valore e della propria capacità, gli permetteranno di valicare ampiamente quel limite definito “impossibile” e di realizzare imprese di un valore alpinistico ed umano difficilmente superabile in futuro.

Già solo sulle Grigne, egli concepisce l’allenamento in maniera sistematica, già tutto proteso con il pensiero alle imprese alpine. Egli è certamente un ambizioso, un perfezionista ed un insoddisfatto e cerca ogni volta di materializzare nella scalata il suo concetto ideale di perfezione. O forse semplicemente egli cerca nell’alpinismo la grande avventura individuale, dove resta infastidito da ogni restrizione, da ogni limite che giunga dalla collettività e dalle sue regole.

E’ assai vicino a Giusto Gervasutti ed al suo agire, ma ancor più esaspera certi concetti. Egli è individualista al mille per mille, ma non nel senso comune che si vuol dare alla parola e nemmeno in senso negativo. Bonatti attraverso la sua azione cerca di esaltare l’individuo, di ridargli il valore perduto, di riportare la parola uomo ad avere la U maiuscola. In questo senso si è sempre espresso, ma purtroppo dai più non è stato capito; anzi il suo agire gli ha attirato, come in pochi altri casi, critiche, invidie, calunnie, gelosie. Eppure Bonatti non odia i suoi simili, anzi probabilmente li ama profondamente. Forse ne ha pena e li compatisce, vedendoli prigionieri delle catene che essi si sono costruite.

Allora con la sua azione folgorante, che sembra andare al di là di ogni valore morale imposto, egli divenne un vero e proprio provocatore in senso positivo, in quanto cerca di scuotere gli animi, di risvegliarli.

Ma purtroppo il sistema gli gioca un brutto tiro ed attraverso l’informazione lo propone alle masse come un modello irraggiungibile, come un superuomo, come una sorta di dio in terra.

Bonatti per le masse divenne unico, irripetibile, irraggiungibile; ciò che fa Bonatti nessuno può fare; tutti cadono e muoiono, ma Bonatti non muore. Il suo messaggio amaramente viene tradito e Bonatti non viene capito, anzi, il suo intento finisce per essere negativo, in quanto il suo esempio viene proposto come inimitabile ed assoluto. Ed ecco che allora contro di lui si scagliano gli anatemi di pacifisti, di comunisti, di difensori della morale, di sociologi, di chiunque trova il feticcio di turno su cui appuntare lo spillo.

Ma prima che tutti costoro lo vogliono morto, spingendolo a realizzare imprese sempre più rischiose e pazzesche, il nostro Walter intelligentemente capisce il giochetto: abbandona l’alpinismo, saluta tutti e se ne va, lasciando critici e detrattori a rodersi il fegato nello sforzo di comprendere i motivi dell’abbandono…

D’altronde la stessa storia ci insegna che il mestiere del provocatore (anche se agisce in fin di bene) è dei più duri e che si corrono dei rischi abbastanza seri, dove forche, croci e ghigliottine non mancano mai per chi ha “disturbato” il quieto vivere e l’ordine pubblico…

Comunque, ritornando all’alpinismo, Bonatti è uno dei pochissimi che, superando se stessi, sono riusciti a spostare il concetto di limiti più volte durante la loro carriera alpinistica. Fin quando Bonatti è rimasto in azione, non ha potuto che essere imitato, anche se le imitazioni sono state di pregevole fattura. Egli stesso, con le sue realizzazioni stupefacenti, ogni volta abbatteva il limite che aveva definito con un’impresa precedente. Forse egli ha avuto l’accortezza di ritirarsi prima di conoscere il declino e la sconfitta. Comunque anche dopo aver lasciato il campo, non si sa ancora esattamente fino a che punto egli sia stato superato. O se lo è stato, si tratta di pochissimi casi d’eccezione, che inevitabilmente hanno sfruttato la scia da lui lasciata.

Perché tutto questo abbia potuto accadere in lui, quali traumi si celino dietro questo fenomeno, le cause del suo agire, è un rompicapo un po’ inutile che lasciamo agli addetti ai lavori.

D’altronde, anche se riuscissimo a capire cosa si nasconde dietro il mantello, il nostro Walter Bonatti resta comunque Walter Bonatti, in quanto è soltanto un’operazione che altri fanno di lui e non un qualcosa da lui voluto. Che Bonatti sia stato un personaggio “scomodo” per molti, date le premesse esposte, è più che naturale. Che qualcuno voglia divertirsi a distruggerlo servendosi del “puzzle” della psicologia, è anche più che naturale. Faccia pure. A noi interessa ciò che Bonatti ha compiuto nell’ambito dell’alpinismo, e questa è una realtà che nessuno può distruggere. Se poi dovessimo scoprire che Bonatti è un nevrotico per cause X e Y, non si riesce a capire cosa potrebbe mutare nelle imprese che lui ha compiuto. Ma sappiamo tutti che è molto difficile ammirare (non adulare!) chi ci sovrasta. E’ sempre più facile cercare di abbatterlo e distruggerlo per motivi di quieto vivere e per non avere paragoni fastidiosi.

 

Nel dicembre del 1956 con Silvano Gheser tenta l'ascensione invernale della Poire. Durante l'avvicinamento incontrano altri due alpinisti (Jean Vincendon e François Henry) che hanno in programma lo Sperone della Brenva, una via di tutto rispetto solo di poco discosta dal loro itinerario. L'ascensione di entrambe le cordate inizia alle 4 del mattino di Natale, orario ideale per l'itinerario di Vincendon e Henry, ma già troppo tardi per quello che dovrebbero percorrere Bonatti e Gheser. Infatti, dopo qualche ora di sole le condizioni del ghiaccio peggiorano e la cordata di Bonatti è costretta a discendere sulla Brenva e a seguire la cordata di Vincendon. L'arrampicata prosegue senza problemi con le due cordate che si tengono in contatto vocale, su due vie diverse ma parallele. Alle h. 16, raggiunta la parte finale dell'ascesa, la cordata di Bonatti è più avanti di circa 100 m. Ma nel frattempo nessuno si è accorto dei segni premonitori di un cambiamento di tempo che sta giungendo dal versante opposto: col sopraggiungere del buio, un'ora più tardi, si scatena una tempesta di una violenza inaudita.

Ne scaturisce un bivacco di 18 ore di durata a quota 4.100 m, durante il quale le due cordate non riusciranno più a tenersi in contatto. Bonatti, superata indenne la notte (invece Gheser incomincia a soffrire di congelamento a un piede), la mattina del 26 dicembre, in un momento di calma del vento, raggiunge in pochi minuti l'altra cordata poco più sotto e concorda di fare cordata comune per coprire insieme, perdurando le pessime condizioni atmosferiche, gli ultimi 200 m che mancano alla vetta e poi, giunti al Colle della Brenva, decidere che itinerario seguire verso la salvezza.
Delle due alternative possibili (scendere direttamente verso Chamonix lungo i pendii del Grande e del Piccolo Plateau resi ormai pericolosamente instabili dalla neve appena caduta, oppure raggiungere la cima del Monte Bianco e poi, attraverso la via normale, cercare rifugio presso il locale invernale dell'Osservatorio Vallot) Bonatti sceglierà la seconda soluzione. La più sicura, ma anche la più dolorosa, in quanto richiede agli alpinisti, ormai stanchi e provati, di riprendere il cammino in salita per altri 500 m di quota in una terribile tormenta. La cordata di Vincendon inizialmente lo segue. Bonatti avanza con la sua cordata il più velocemente possibile, in quanto si rende necessario consentire a Gheser, ormai colpito da gravi congelamenti (avrà alcune dita di entrambi i piedi e di una mano amputate), di ricevere cure urgenti. Arrivano alla Vallot con il sopraggiungere della notte. La cordata di Vincendon ha nel frattempo rinunciato, per sfinimento: a 200 m dalla vetta del Monte Bianco è ritornata sui suoi passi, optando per l'altra alternativa (raggiungere direttamente Chamonix).

Ma la notte li obbliga a bivaccare in un crepaccio a 4.600 m. Bonatti li chiamerà inutilmente nella tempesta senza ricevere risposta. La storia verrà poi conosciuta come l'"affare Vincendon e Henry". Dopo cinque giorni di freddo e sfinimento, i componenti di quest'ultima cordata muoiono nell'attesa che le squadre di soccorso, bloccate però dal maltempo, li prelevino (ancora vivi li raggiungerà un elicottero che però cadrà sul ghiacciaio) Nel 1957 si stabilisce a Courmayeur. Dopo un lungo periodo di convalescenza resosi necessario per i postumi dell'ultima ascensione, Bonatti si rivolge all'ultima grande parete vergine del massiccio del Monte Bianco: la parete nord del Grand Pilier d'Angle. Vi aprirà ben tre vie che la percorrono interamente.

 

 

1949 – Bonatti non ha ancora vent’anni. In una sola stagione estiva ripete le seguenti vie:

-          La via Cassin - sulla parete Nord delle Jorasses.

-          La via Cassin - sulla parete Nord Est del Pizzo Badile.

 

1949 - 27/29 giugno. Andrea Oggioni con Walter Bonatti e Iosve Aiazzi effettuano la prima ripetizione nel Gruppo di Brenta sul Croz dell’Altissimo parete Sud, via Oppio/Colnaghi/Guidi – 6° grado superiore. - Sottogruppo Gaiarda e Altissimo - Dolomiti di Brenta.

 

1949 – 13/14 agosto. Walter Bonatti, Andrea Oggioni e Emilio Villa compiono la 3° ripetizione dell’Aiguille Noire de Peutérey per la Parete Ovest - via Ratti/Vitali di 6° grado superiore.

Attualmente è una via classica, abbastanza frequentata, su roccia buona; chiodata a sufficienza e attrezzata per la discesa a corde doppie. Dislivello 650 m. Difficoltà TD+, concentrate nei due diedri superiori: V°+ e A2. - Contrafforti Italiani - Massiccio del Monte Bianco.

 

1949 - 17/19 agosto. Mario Bianchi, Walter Bonatti, Andrea Oggioni e Emilio Villa compiono la 5° ripetizione della parete Nord, Sperone Walker, via Cassin (1200 m, VI° e A1), alla Punta Walker delle Grandes Jorasses. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1949 - 4 settembre. Andrea Oggioni con Walter Bonatti e Iosve Aiazzi realizzano la prima ripetizione della Punta Occidentale delle Punte di Campiglio nel Gruppo di Brenta, per la via Principe Ruffo (Detassis) – 5° e 6° grado – nelle Dolomiti di Brenta. - Massiccio di Cima Brenta.

 

1949 - 6 settembre. Andrea Oggioni con Walter Bonatti e Iosve Aiazzi in prima salita assoluta salgono sulla Punta Orientale (2969 m.) delle Punte di Campiglio nel Gruppo di Brenta, per la parete Sud (700 m.) aprono la via Cinquantenario C.A.I. Monza. - Massiccio di Cima Brenta - Dolomiti di Brenta.

 

1950 24 luglio. Walter Bonatti e Camillo Barzaghi effettuano il primo tentativo alla parete Est del Grand Capucin per l’attacco diretto. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1950 14 agosto. Walter Bonatti con Luciano Ghigo compiono il secondo tentativo alla parete Est del Grand Capucin per l’attacco diretto. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1951 – 20/21/22/23 luglio. E’ l’anno in cui il nome di Walter Bonatti entra nel novero dei grandi alpinisti internazionali. E’ l’anno in cui, con Luciano Ghigo, vince la stupenda parete Est del Grand Capucin. “Via Bonatti/Ghigo”. - L’impresa ha un grande valore storico perché, per la prima volta, si è vista l’applicazione tecnica dell’arrampicata artificiale, tipica del calcare delle Orientali, nel granito delle Occidentali e si è aperta la strada ad una serie di altre scalate fino a quel momento ritenute irrealizzabili. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1952 - Walter Bonatti apre sulla Tofana di Rozes (3225 m.), la via della Tridentina sullo sperone Sud-Ovest, oggi assai ripetuta. Da quel momento l’attenzione si concentrò sui tre bellissimi pilastri delle Tofane.

 

1952 - 17 luglio. Enrico Peyronel con Walter Bonatti salirono per la parete Sud della Punta Young alle Grandes Jorasses. - La parete è alta fra i 400 ed i 500 m. reca la curva di livello dei 3500 m. sotto la sua base e presenta alla base un ripidissimo zoccolo di circa 80 m, che i primi salitori superarono direttamente, per la fessura che continua fino alla cresta sommitale, incontrando difficoltà molto forti e ricorrendo largamente all’artificiale. Superato lo zoccolo (dove si dovrebbe poter salire con minori difficoltà sulla sinistra della fessura), i primi salitori abbandonarono la fessura (forse possibile, ma con difficoltà estrema) e salirono sulla sua destra per rocce più praticabili, incontrando un solo passaggio molto duro nel tratto sommitale. Cosi come venne realizzata la salita presenta dunque difficoltà discontinue, concentrate nello zoccolo e nell'uscita. I primi salitori impiegarono 12 ore e 30 minuti dal rifugio (di cui ore 1.30 per raggiungere l'attacco ed altre 11 per la parete) ed usarono 30 chiodi: l’itinerario venne valutato, nel suo insieme, di 5° superiore. Roccia ottima. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1953 – Dal 22 al 24 febbraio, Walter Bonatti e Carlo Mauri che è stato per anni il suo compagno di cordata, ripetono in prima invernale la via Cassin-Ratti alla Cima Ovest di Lavaredo.

La forte cordata incontra le difficoltà maggiori nella parte alta, che il freddo intenso ha trasformato in un imbuto ghiacciato.

 

1953 – 27 febbraio, Walter Bonatti e Carlo Mauri, non paghi, ripetono la seconda invernale della via Comici-Dimai alla Cima Grande di Lavaredo.

 

1953 – 20/21 marzo, Walter Bonatti con Roberto Bignami, compì la prima salita invernale sulla cresta di Furgger al Cervino, oltre a compiere un’ascensione sulla cresta dell’Hornli.

 

1953 – 15/16/17/18 agosto. Walter Bonatti, e Carlo Mauri, compiono un primo tentativo sul Pilastro Sudovest del Petit Dru, ma dopo tre giorni di maltempo all’altezza del ramarro decidono di tornare indietro. - Settore dell’Aiguille Verte - Alpi Francesi - Alpi Graie - Massiccio del Monte Bianco.

 

1954 - 31 luglio. Prima ascensione al K2 con la salita in vetta di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli (spedizione Ardito Desio), per la Cresta Sud-est. E’ doveroso elencare i diretti protagonisti dell’impresa: Erich Abram, Ugo Angelino, Walter Bonatti, Achille Compagnoni, Cirillo Floreanini, Pino Gallotti Lino Lacedelli, Guido Pagani (medico) Ubaldo Rey, Gino Soldà, Sergio Viotto, e in fine ma non ultimo Mario Puchoz morto per edema polmonare il 21 giugno al secondo campo (quota 6095). - L’assedio è durato 72 giorni: il 31 luglio 1954 Achille Compagnoni e Lino Lacedelli furono in vetta. - Karakorum - Himalaya.

 

1954 - 3 agosto. Leggendo e rileggendo la scarna versione qui riportata della Prima ascensione al K2 (La montagna degli italiani) Karakorum - Himalaya. Mi sembra doveroso riportare da fonti più ufficiali e giornali autorevoli, e non da meno da libri “Montagne di una vita” – “K2 storia di un caso” e Il caso K2 – 40 anni dopo. di Walter Bonatti e molti altri, compreso spunti da Internet, una breve sintesi della verità dei fatti.

Caso K2. – La prima salita alla vetta del K2.

31 luglio 1954 la spedizione italiana guidata dal professore Ardito Desio raggiunge la vetta del K2. La notizia giunge in Italia a mezzogiorno del 3 agosto ed accolta con grande entusiasmo e simbolo della rinascita del paese nel dopoguerra. Ovviamente da quel momento il K2 divenne per tutti la “Montagna degli Italiani”. I due alpinisti che raggiunsero effettivamente la vetta furono Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, con il determinante aiuto di Walter Bonatti, anche se il merito va sicuramente all’intero gruppo. La spedizione fu inizialmente segnata dalla morte della guida alpina di Courmayeur Mario Puchoz colpito da edema polmonare. Erich Abram, Walter Bonatti e Ubaldo Rey, fecero il grosso del lavoro di messa in opera delle corde fisse sulla cosiddetta Piramide Nera, la difficile zona rocciosa poco sotto i 7000 metri. Il 30 luglio, il giorno prima della salita finale con un carico di bombole sulle spalle recuperate appena sopra il settimo campo, Walter Bonatti forse meno provato degli altri avanza in testa alla fila, seguito da Pino Gallotti e Erich Abram con i due hunza Amir Mahdi e Isakhan. Arrivati al campo otto, Pino Gallotti non si regge più in piedi, Erich Abram non si pronuncia, ma dall’espressione del suo volto c’è poco da sperare. Lo hunza Isakhan febbricitante, geme come un bambino. Invece Amir Mahdi è ancora in ottime condizioni. Con uno strattagemma Walter Bonatti convince Amir Mahdi ad aiutarlo a portare i due trespoli dell’ossigeno al campo nove dove erano attesi da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, designati per conquistare la cima, ma non riuscirono a raggiungere la tenda del campo. Al sopraggiungere dell’oscurità Walter Bonatti e Amir Mahdi si trovarono così impossibilitati sia a salire sia a scendere. Non ricevendo assistenza dalla ormai vicina tenda di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli (non si trova dietro il masso come accordato ma a cinquanta metri  più in alto nascosta dietro la grande fascia rossa). Ed ecco, incredibile, nel profondo silenzio, sulla dorsale che finisce sotto la fascia rocciosa e poco più in quota si accende una luce. Con voce ben distinta e cruda Lino Lacedelli si giustifica, con queste precise parole: “Non vorrai che stiamo fuori tutta la notte a gelare per te!”. – “Avete l’ossigeno? - bene lasciatelo lì e scendete subito”. Walter Bonatti e Amir Mahdi dovettero quindi bivaccare all’aperto in condizioni climatiche proibitive, su un gradino di ghiaccio in mezzo a un ripido canalone che il vento notturno riempiva di neve, senza tenda e senza sacchi a pelo, e sopravvissero solo grazie alla loro eccezionale forza fisica. Amir Mahdi riportò gravi congelamenti che portarono all’amputazione di tutte le dita dei piedi. Questo episodio è all’origine di tutta serie di polemiche, calunnie, accuse, perfino di fronte a tribunali, che coinvolsero i protagonisti della vicenda e si trascinarono per 54 anni, dando origine al cosiddetto Caso K2.

Secondo la relazione pubblicata all’epoca da Ardito Desio, la mattina successiva al trasporto dei basti con le bombole di ossigeno da parte di Walter Bonatti e Amir Mahdi, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, sarebbero scesi a prendere le bombole (che garantivano una pressurizzazione pari a 6000 metri anche alla quota di 8100 metri), dove Walter Bonatti e Amir Mahdi le avevano lasciate ( a poca distanza dal campo nove) e con esse avrebbero fatto la salita finale; l’ossigeno tuttavia, secondo il loro racconto, si sarebbe esaurito due ore prima (a quota 8400) e quindi i due alpinisti avrebbero raggiunto la vetta del K2 senza respirare ossigeno supplementare, portando comunque con sé i bastini con le bombole ( dal peso complessivo di 19 chilogrammi per alpinista) per lasciarli in vetta come segno della loro conquista. Al ritorno entrambi sarebbero stati in condizioni psicofisiche difficili e Achille Compagnoni, che in un primo tempo disse di avere ceduto in vetta i suoi guanti a Lino Lacedelli ma che poi sarebbero volati nel vento mentre scattava le foto (la versione venne poi modificata), riportò gravi congelamenti alle mani, per i quali fu necessario l’amputazione di due dita.

“Il caso K2 – 40 anni dopo”. di Walter Bonatti - Revisione della versione ufficiale.

La versione secondo cui l’ossigeno sarebbe terminato prima di raggiungere la vetta è stata ufficialmente smentita dal CAI a seguito delle risultanze della commissione dei tre saggi, che ha pubblicato la propria relazione nel 2008. Secondo la versione rivista, l’ossigeno sarebbe stato utilizzato fino alla cima. La prova è costituita da 2 foto scattate sulla cima dai due alpinisti: in una si vede Achille Compagnoni ancora con la maschera dell’ossigeno; nell’altra Lino Lacedelli con tracce di brina intorno alla bocca, come se si fosse tolto da poco la sua maschera di ossigeno. A sottolineare questo fatto si deve il merito al dottor Robert Marshall di Melboure, un medico chirurgo che dopo un’analisi approfondita e puntigliosa fornendo una documentazione singolare, tanto più inattesa in quanto era già da sempre a disposizione degli osservatori. Achille Compagnoni e Lino Lacedelli avrebbero respirato l’ossigeno delle bombole per circa 10 ore, vale a dire che era completamente cariche. I due avrebbero cominciato la salita finale non prima delle 8,30 partendo dal luogo del forzato bivacco notturno di Walter Bonatti e Amir Mahdi dove avrebbero recuperato le bombole lasciate in bella vista e scoperte dalla neve da Walter Bonatti. Risulta pertanto completamente valida la versione di Walter Bonatti.

 

1955 - La fama di Walter Bonatti è ormai consolidata ancor prima della convocazione per la spedizione italiana al K2 - Karakorum - Himalaya, nel corso della quale ha ancora una volta la ventura di dimostrare l’eccezionalità della sua resistenza fisica con un terribile e discusso bivacco a 8.000 metri di quota.

La spedizione al K2 per Walter Bonatti è una parentesi triste. In seguito a circostanze non ancora del tutto chiare, egli deve abbandonare a poche centinaia di metri dalla vetta e si trova costretto a bivaccare con attrezzatura leggerissima a quasi 8000 metri di quota.

A dispetto di ogni teoria che voleva il contrario, anche da quest’esperienza uscirà indenne, dimostrando che le possibilità dell’uomo non hanno certamente un limite definito.

 

1955 - 25/26/27 luglio. Walter Bonatti, Carlo Mauri, Andrea Oggioni e Iosve Aiazzi nel Gruppo del Monte Bianco e precisamente sul Petit Dru effettuano un secondo tentativo allo Spigolo Sud Sudovest ma vengono ostacolati ancora dalla tormenta. - Settore dell’Aiguille Verte - Alpi Francesi - Alpi Graie - Massiccio del Monte Bianco.

 

1955 - 17/22 agosto. Walter Bonatti con cinque bivacchi in parete, in sei giorni di durissima arrampicata al limite della tecnica e dell’audacia, scala per la prima volta, in Solitaria il Pilastro Sudovest del Petit Dru suscitando enorme entusiasmo ed incondizionata ammirazione. Questa ascensione è considerata come uno dei più grandi exploit della storia dell'alpinismo, oggi chiamato Pilastro Bonatti. La realizzazione della prima ascensione, in solitaria, ha costituito uno dei più straordinari exploit della storia dell’alpinismo. - Settore dell’Aiguille Verte - Alpi Francesi - Alpi Graie - Massiccio del Monte Bianco.

 

1956 - Natale. Presi in trappola dalla tempesta insieme con il celebre Walter Bonatti e Silvano Gheser, Francois Henry, 23 anni, e Jean Vincendon, 24 anni, finiscono per ritrovarsi soli, sperduti a 4000 metri di quota sul Monte Bianco. Dopo dieci giorni di smarrimento e di sofferenza, dopo che Lionel Terray, “eroe dell’Annapurna”, ha inutilmente tentato di raggiungerli via terra con una squadra di soccorso di volontari, i due “naufraghi” vengono abbandonati nel relitto di un elicottero che si è schiantato vicino a loro tentando una manovra disperata. I soccorritori hanno promesso di tornare…

“Questi ragazzi sono stati beffati dal destino”…Un commento del soccorritore Honoré Bonnet, riassume bene l’implacabile catena di errori, debolezze e sfortune che hanno alimentato uno dei maggiori drammi dell’alpinismo.

 

Ma il periodo più sfolgorante della sua attività alpinistica coincide con quello della sua permanenza a Courmayeur, in qualità di guida alpina: tutte le pareti inviolate del Monte Bianco capitolano a una a una.

 

I suoi successi non si contano più.

 

Tra i più significativi:

 

19571/2/3 agosto. Il Grand Pilier d’Angle è venuto alla ribalta nel mondo alpinistico, quando Walter Bonatti e Toni Gobbi superarono la parete Est-Nordest, un pilastro alto 900 metri affacciato sul Bacino della Brenva. (via Bonatti-Gobbi), in realtà è solo una elevazione della Cresta di Peutérey. Gli alpinisti che la scalarono per secondi necessitarono ancora di 17 ore e mezzo. - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco.

 

1959 - Walter Bonatti e compagni, realizzano la 3° ascensione della (via Cretier) sulla parete Sudest del Mont Maudit per il Versante della Brenva. Dislivello 750 m dalla crepaccia terminale alla cima. Difficoltà D+, fino al IV grado. - Gruppo Mont Maudit - Massiccio del Monte Bianco.

 

1959 - La storia del Pilone Centrale del Frêney ha inizio con un tentativo da parte di Walter Bonatti e Roberto Gallieni. I due scalano la prima parte del pilastro poi, devono rinunciare per mancanza di materiale. - Contrafforti ItalianiMassiccio del Monte Bianco.

 

1959 - 19 giugno. Walter Bonatti, Bruno Ferrario e Andrea Oggioni nel (Gruppo del Monte Bianco) Sottogruppo del Gruetta salgono il Petit Greuvetta parete Ovest (3230 m.) realizzando la prima ascensione. Bella arrampicata di 650 metri; 3° e 4° grado con un passaggio di 5°. Chiodi usati 10, lasciati 1, tutti di assicurazione. - Gruppo Leschaux-Talèfre - Massiccio del Monte Bianco.

 

1959 - 5/6 luglio. Walter Bonatti e Andrea Oggioni, dopo diversi tentativi falliti per il maltempo (12/15 giugno e 3/4 luglio) trovano il sistema per tracciare una nuova via che porti in cima al Monte Bianco: (via Bonatti-Oggioni) per il Pilastro Rosso del Brouillard dal versante di Sud-Est. E realizzano la prima ascensione con un bivacco in parete. Il nome di Pilastro Rosso viene dato proprio da loro, per il suo granito rossastro e la sua caratteristica di enorme pilastro. E’ un grosso torrione slanciato che si alza dal tormentato Ghiacciaio del Brouillard per circa 450 metri e finisce ad una selletta, staccato da una parete meno difficile che porta sulla vetta del Picco Luigi Amedeo. Seguendo poi la complicata Cresta del Brouillard, raggiunsero la vetta del Monte Bianco. - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco. - Vedi il racconto di Walter Bonatti  tratto dal suo libro “Montagne di una vita. WB2

 

1959 - 5/6/7 agosto. Andrea Oggioni con Roberto Gallieni e Walter Bonatti partendo dal Bivacco della Fourche (3680 m.) aprono una nuova via per il Contrafforte centrale Sudest (4465 m.) al Mount Maudit, dal Versante della Brenva, compiendo la 1° ascensione (via Bonatti). Via su roccia e misto molto varia e interessante ma in parte esposta alla caduta di pietre. Usati 50 chiodi dai primi salitori, lasciati 5. Dislivello 750 m. Difficoltà TD-, passaggi di IV e V grado. - Gruppo Mont Maudit - Massiccio del Monte Bianco.

 

1959 - 13 settembre. Walter Bonatti, realizza la Prima ascensione della Major al Monte Bianco, in solitaria. - Bianco - Versante della Brenva - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco.

 

1959 - 19 settembre. Walter Bonatti e I. Guargaglia, realizzano la 2° ascensione salendo per il canalone Est, fra il colle e lo Sperone della Brenva., fino in cima al Monte Bianco Ardua via glaciale che passa fra impressionanti seracchi, molto esposta alla caduta di ghiaccio. Dislivello, fin sopra il Mur de la Côte: 900 m; circa 1250 fino in cima. Difficoltà D / D+ . - Bianco - Versante della Brenva - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco.

 

1959 - 19/20 settembre. Andrea Oggioni con Bruno Ferrario e Walter Bonatti, dal Bivacco della Fourche (3680 m.), salgono lo Spallone Sud Ovest del Mount Maudit (4468 m.), per lo Sperone Est, dal Versante della Brenva, realizzando la prima ascensione in un terreno misto e aprono la via Giannina. - Gruppo Mont Maudit - Massiccio del Monte Bianco.

 

1960 - 26 giugno. Walter Bonatti e Giuseppe Catellino, salgono per il canalone Nord-Est del Petit Mont Blanc raggiungendo la vetta che in seguito questa via verrà percorsa più volte. - Sotto le rocce sommitali del Petit Mont Blanc, tra questa cima e l'Aiguille de l'Aigle, si abbassa questo grande e regolare canalone nevoso, che sfocia sul Ghiacciaio del Miage a circa 2400 m. Piacevole ascensione su neve-ghiaccio. Dislivello 1000 m. Difficoltà AD+. - Gruppo Glaciers-Trélatête - Massiccio del Monte Bianco.

 

19603/4 agosto. Walter Bonatti (guida) con Roberto Gallieni, tracciano sulla parete Sud-Est della Chandelle du Mont Blanc du Tacul la via Bonatti. Magnifica arrampicata lungo linee di fessure, classica, su roccia ideale. Anche la felice esposizione e la facilità del ghiacciaio d'accesso favoriscono le sue attuali numerose ripetizioni. La chiodatura in posto (chiodi e qualche vecchio cuneo) invita a superare quasi tutti i passaggi in arrampicata libera (il passaggio più difficile alla sesta lunghezza è però sgradevole, ma si può evitare con una bella lunghezza in parete Sud-Est); utili corde da 50 m. Dislivello 170 m, sviluppo 220 m. Difficoltà TD+, V, V+ e un passaggio di VI-, A1 e un passo di A2 (se in libera fino a VIII-). - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1961 - marzo. Walter Bonatti sale la parete Nord del Cervino con Giuseppe Catellino.

 

1961 - 9 marzo. Walter Bonatti con Gigi Panei, realizzano la Prima salita invernale del Monte Bianco per la via della “Sentinella Rossa”, dal versante della Brenva. - Bianco - Versante della Brenva - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco.

 

1961 - 28 marzo. Walter Bonatti realizza la 1° solitaria, in salita e discesa del Col de la Brenva, dalla Brenva per il versante Sudest. - Dal Bivacco della Fourche 3684 m si scende sul pianeggiante bacino superiore del ghiacciaio della Brenva, che si attraversa. Si risale il gran pendio inferiore su resti di valanghe, poi si obliqua a destra per superare la fascia di rocce che taglia il pendio e si prosegue diritto (cornice) fino al colle. - Gruppo Mont Maudit - Massiccio del Monte Bianco.

 

1961 - E’ la volta del Pilastro Rosso di Brouillard di sinistra, vinto con il suo grande amico Andrea Oggioni.

 

1961 - luglio. Walter Bonatti e compagni, realizzano la 2° ascensione della via Kagami sullo Sperone Sudest alla spalla Nordest dal Versante della Brenva del Mont Maudit. Bella via che segue lo stretto sperone roccioso Sudest che in basso si allarga notevolmente; roccia buona. Dislivello 650 m. Difficoltà D+, passaggi IV e uscita difficile su ghiaccio. - Gruppo Mont Maudit - Massiccio del Monte Bianco.

 

1961 - 10/16 luglio. Durante un tentativo di prima ascensione al Pilone Centrale del Frêney, si consumò una delle più drammatiche tragedie alpine. Dopo due bivacchi per il maltempo ai piedi della Chandelle, le cordate di tre italiani e quattro francesi iniziarono insieme la ritirata, con altri due bivacchi nella bufera. Sul Ghiacciaio di Frêney morirono per sfinimento Antoine Vieille, Robert Guillaume e Andrea Oggioni e sul ghiacciaio di Châtelet si spense Pierre Kohlman Si salvarono Walter Bonatti che guidò la ritirata, Roberto Gallieni e Pierre Mazeaud. - Contrafforti ItalianiMassiccio del Monte Bianco.

 

1961 - Superate le amarezze causategli dalla tragedia del Freney (in cui perse la vita Andrea Oggioni, Guillaume, Vieille e Kohlmann) (si salvarono solo Walter Bonatti, Roberto Gallieni e Pierre Mazeaud) e dalle conseguenti polemiche, riprende l’esplorazione del gruppo del MonteBianco.

 

1961 - 20/22 settembre. Walter Bonatti e Cosimo Zappelli, salgono la vergine parete Sud, tra i Piloni e la Cresta di Peutérey, che s’innalza direttamente alla cima del Monte Bianco di Courmayeur e tracciano la (via diretta Bonatti-Zappelli). Itinerario grandioso su misto, molto bello, esposto, in parete aperta. È la via più diretta dal Bacino di Freney alla cima del Monte Bianco. Nelle ore calde c'è scivolamento di neve nel canalone e sulle fasce rocciose. Dislivello, dal Bacino superiore di Freney al Monte Bianco di Courmayeur: 850 m. Difficoltà TD. - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco. - Vedi il racconto di Walter Bonatti  tratto dal suo libro “Montagne di una vita. WB1

 

1962 – 10/11 luglio. Walter Bonatti e Pierre Mazeaud salgono per la parete Est delle Petites Jorasses dal Ghiacciaio di Fréboudze. - Ecco il loro racconto: Abbiamo chiamato questo itinerario Via dell'amicizia. Non vi è nome più bello. E noi l'avevamo dedicato ai nostri amici, morti un anno prima. Mentre scalavamo, ci era parso talvolta di vederli al nostro fianco…. Scalata molto bella su roccia eccellente, estremamente difficile. La parete, alta circa 500 metri, è particolarmente ripida. L’itinerario si divide in tre zone di grandi difficoltà: la prima, alta 200 metri, si supera in artificiale; la seconda, di circa 150 metri, in arrampicata libera; la terza presenta i caratteri del terreno misto. Non è stata ancora ripetuta. - Gruppo Leschaux-Talèfre - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1962 – 22/23 giugno. Walter Bonatti e Cosimo Zappelli salgono la parete Nord del Grand Pilier d’Angle aprendo una nuova via chiamata poi (via Bonatti/Zappelli).Uno dei più difficili itinerari del massiccio prima dell’avvento della “Piolet-traction”. - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco. - Vedi il racconto di Walter Bonatti  tratto dal suo libro “Montagne di una vita. WB3

 

196325/26/27/28/29/30 gennaio. Walter Bonatti e Cosimo Zappelli realizzano la 1° invernale dello Sperone Walker delle Grandes Jorasses (via Cassin) di eccezionale valore alpinistico. Il 24 gennaio Walter Bonatti e Cosimo Zappelli, dopo aver trasportato il materiale ai piedi della Punta Walker, vi bivaccarono: il 25 risalivano il pendio di ghiaccio e si fermavano a 3300 m; il 26 raggiungevano la base del diedro di 30 m; il 27 si fermavano a causa del cattivo tempo e del freddo intenso (il termometro si bloccava a-35°); il 28 riprendevano la salita abbandonando gran parte del materiale; il 29 raggiungevano i 4100 m. di altitudine; Infine il 30 alle ore 10 erano in vetta, alle 21 a La Palud. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

19635/9 febbraio. Una settimana dopo la 1°salita invernale dello Sperone Walker delle Grandes Jorasses (via Cassin) a merito di Walter Bonatti e Cosimo Zappelli, Jacques Batkin e René Desmaison raggiungono la base di partenza della Punta Walker in elicottero e ripetono la salita realizzando la 2°salita invernale della parete Nord dello Sperone Walker. - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1963 - Walter Bonatti e compagni, compiono la 4° ascensione della (via Cretier) sulla parete Sudest del Mont Maudit per il Versante della Brenva. Dislivello 750 m dalla crepaccia terminale alla cima. Difficoltà D+, fino al IV grado. - Gruppo Mont Maudit - Massiccio del Monte Bianco.

 

1963 – 25/26 agosto. Walter Bonatti e Cosimo Zappelli salgono per lo Sperone e la parete Est della Punta Innominata. Via su roccia molto rotta e friabile, alta 300 m. TD, con passaggi di V+. - Contrafforti ItalianiMassiccio del Monte Bianco.

 

1963 - 18 settembre. Walter Bonatti e Cosimo Zappelli, per la parete Sud-Ovest del Trident du Tacul aprono la via diretta Bonatti. La via supera la parete ripida e strapiombante rivolta alla Chandelle, dopo la parte in comune con la (via Lépiney). Scalata molto bella, dura e sostenuta; usati 70 chiodi e 25 cunei. Dislivello 180 m. dal canale. Difficoltà ED, fino al VI e A3. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

1963 – 11/12 ottobre. Il grande Walter Bonatti con Cosimo Zappelli salgono il Grand Pilier d’Angle per la parete Est Sudest aprendo un’altra nuova via: la Bonatti/Zappelli.) - Gruppo del Monte Bianco - Massiccio del Monte Bianco.

 

1964 - 30 luglio. Walter Bonatti e Livio Stuffer, salgono sulla cima del Trident du Tacul per lo Spigolo Nord a tratti verticale che sovrasta la Brèche du Trident. Bella scalata aerea e difficile, che traccia una linea diritta su granito compatto. Mancano altri particolari. - Satelliti del Mont Blanc du Tacul - Gruppo Mont Blanc du Tacul - Massiccio del Monte Bianco.

 

19646/10 agosto. Walter Bonatti apre una nuova via sulla Punta Whymper. sulla parete Nord delle Grandes Jorasses con Michel Vaucher. La nervatura della Punta Whymper solca tutta la parte alta, rocciosa, della gran gola centrale, con andamento pressoché simmetrico ai due speroni della Punta Walker e della Punta Croz, a circa metà distanza fra la rigola e lo Sperone Croz. - I due si trovano coinvolti in una situazione estremamente critica, ma facendo forza sulle loro eccezionali capacità e su un morale non comune, riescono a venir fuori anche questa volta pressoché indenni. - «Il primo giorno furono sfiorati da una caduta di pietre, che tagliò le loro due corde, ma si innalzarono per circa 600 m. Durante il primo bivacco (sopra il testone) la parete tremò: una torre rocciosa si era staccata per il disgelo. Per questa frana, le pietre continuarono a cadere, di guisa che la cordata poté elevarsi di poco nel corso del secondo giorno. Durante il secondo bivacco nevicò, al mattino la parete era coperta di neve e ghiaccio. La cordata s’innalzò cionondimeno per circa 300 m. nel corso della terza giornata. Il terzo bivacco fu molto duro, per il freddo polare (- 20°). Alle 18.30 del quarto giorno raggiunsero finalmente la vetta. Quarto bivacco nella discesa. L'eccezionale valore dei due arrampicatori ha consentito di portare a lieto fine un’avventura resa severissima dalla cattiva qualità della roccia e dal maltempo. Questa nuova via non è una ripetizione consiglia bile». - Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

1965 - Dal 10 al 14 febbraio fu nuovamente sulla parete Nord del Cervino con Gigi Panei e Alberto Tassotti.

 

1965 - Dal 18 al 22 febbraio dello stesso mese, si superò realizzando la direttissima sulla Nord del Cervino, prima ascensione invernale in solitaria. Impresa, questa, che interessò la parete Nord e la cresta di Zmutt. Un capolavoro di stile e una data storica per l’alpinismo.

 

1989 – 2 giugno. Giovanni Bassanini sale in solitaria la “via Bonatti alla Punta Whymper delle Grandes Jorasses tracciata da Walter Bonatti e Michel Vaucher dal 6 al 10 agosto del 1964Gruppo delle Grandes Jorasses - Massiccio del Monte Bianco.

 

2004 – maggio. La commissione storiografica incaricata dal C.A.I. di chiarire definitivamente la “vicenda Bonatti”, definisce la relazione ufficiale del capospedizione Ardito Desio gravemente lacunosa e in alcune parti inaccettabile. Walter Bonatti vede così riconosciuta anche in questa sede la sua ricostruzione di quanto accaduto sul K2 il 30 e 31 luglio 1954. - Karakorum - Himalaya.

 

A questi, che sono dei significativi esempi dell’impegno di Walter Bonatti, si devono aggiungere i numerosi successi extraeuropei:

 

1957 - Due spedizioni, una guidata da Walter Bonatti e Carlo Mauri e l’altra da Cesare Maestri e dall’italiano (stabilitosi in Argentina) Cesarino Fava, operano su due opposti versanti del Cerro Torre.

Furono soprattutto Walter Bonatti e Carlo Mauri ad innalzarsi parecchio sul versante occidentale, caratterizzato da straordinarie costruzioni di ghiaccio che aderiscono per il gelo alle placche granitiche sottostanti. Essi raggiunsero un colle, detto poi “della speranza”, ma dovettero ritirarsi di fronte alla parete terminale, essendo privi di materiale adatto e non avendo a disposizione le corde necessarie per un assalto condotto a balzi successivi, l’unico modo che poteva dare qualche garanzia di successo. Comunque i due alpinisti conquistano sei vette in Patagonia.

1958 - la conquista del Gasherbrum IV, con Carlo Mauri.

1961 - il Rondoy Norte, il Paria Norte ed il Ninashanca, nelle Ande peruviane.

 

 

Dopo l’entusiasmante vittoria sul Cervino, Bonatti abbandona l’alpinismo estremo per dedicarsi all’esplorazione e all’avventura nelle regioni più impervie del mondo.

I suoi reportages giornalistici e fotografici gli hanno valso il premio “Die Goldene Blende” per iniziativa della rivista Bild der Zeit di Stoccarda e l’assegnazione del trofeo “Il Gigante dell’avventura” 1971 per iniziativa della rivista Argosy di New York.

Tra i riconoscimenti più significativi della sua lunga attività alpinistica sono da ricordare:

- le medaglie d’oro, d’argento e di bronzo al valor civile;

- la medaglia d’oro al valore sportivo;

- la medaglia d’oro dell’Accademie des Sports di Parigi;

- la Legion d’Onore della Repubblica Francese.

Sicuramente è la figura più rappresentativa prodotta dall’alpinismo internazionale nel secondo dopoguerra.

Bonatti ha dedicato alla montagna la sua giovinezza e la montagna lo ha ricambiato, tanto che in una dedica ha scritto: “Alle mie montagne, infinitamente grato per il bene interiore che nella mia giovinezza ho potuto ricavare dalla loro severa scuola”.

 

Evitando fiumi di parole già scritte, limitiamoci a definirlo come uno dei più grandi alpinisti del mondo.

Tra le più importanti scalate sulle Alpi ricordiamo anche la parete Est del Grand Capucin (1951), e il pilastro Sud-Ovest del Dru in prima ascensione in solitaria (1955), l’attraversata scialpinistica completa delle Alpi (1956), il Pilastro Rosso di Brouillard (Monte Bianco, 1959) e la parete Nord delle Grande Jorasses (1963).

 

 

 

      LE IMPRESE ALPINISTICHE

 

            1951 parete est del Gran Capucin (vi ritornerà nel 1976 per celebrare a suo modo la  ricorrenza) - (25°)

            1953 pareti nord delle Tre Cime di Lavaredo.

            1954 spedizione italiana sul K2, bivacco a 8100 m.

            1955 scalata in solitaria del Pilastro Sud-ovest del Dru.

            1956 traversata sci-alpinistica completa delle Alpi.

            1958 ascesa al Gasherbrum IV, Himalaya.

Scalata del Cerro Mariano Moreno e concatenamento sul Cordon Adela, cordigliera patagonica.

            1961 scalata al Rondoy Nord, gruppo andino di Huayhuash.

            1963 scalata invernale della parete nord delle Grandes Jorasses.

            1965 scalata invernale in solitaria e diretta della parete nord del Cervino.

 

      VIAGGI E AVVENTURA

            1965 Alaska

            1966 Tanzania

            1967 Foreste dell’Orinoco, Venezuela

            Uganda

            1968 Piccole Isole della Sonda, Indonesia

            Sumatra

            Vulcano Krakatoa

            Sorgenti del Rio delle Amazzoni

            1969 Deserto centrale australiano

            Isola di Nuku-Hiva, Polinesia

            1970 Arcipelago Juan Fernàndez, Cile

            1971 Capo Horn

            Fiordi patagonici

            Rio Santa Cruz

            Monte Aconcagua, Ande Argentine

            1972 Vulcano Nyragongo, Zaire

            Foreste dell'Ituri, bacino del fiume Congo

            1973 Foreste dell'Orinoco

            1974 Irian Jaya, regioni interne della Nuova Guinea

            1975 Auyàn Tepuy, Terre Alte della Guyana

            1976 Antartide

            1978 Sorgenti del Rio delle Amazzoni

            1986 Patagonia cilena, Hielo Continental

 

 

      I LIBRI

 

            In terre lontane

            Baldini e Castoldi, pp.437, 1997 Montagne di una vita

            Baldini e Castoldi, pp.335, 1996 K2 storia di un caso

            Baldini e Castoldi, pp.224, 1996

 

 

      Fermare le emozioni. L’universo fotografico di Walter Bonatti, Aldo

      Audisio e Roberto Mantovani, Museo Nazionale della Montagna edizioni,

      pp.176, illustrato, 1998

      L’ultima Amazzonia, Massimo Baldini Editore, libro fotografico, pp.207,

      1989

      Un modo di essere, Dall’oglio editore, 1989

      La mia Patagonia, Massimo Baldini Editore, libro fotografico, pp.227, 1986

 

      Processo al K2, Massimo Baldini Editore, pp.123, 1985

      Avventura, Rizzoli, pp.253, 1984

      Magia del Monte Bianco, Massimo Baldini, 1984

      Le mie montagne, Rizzoli, pp.181, 1983

      Ho vissuto tra gli animali selvaggi, Zanichelli, illustrato, pp.224, 1980

 

Non saranno le mie imprese ma la montagna stessa a far riscoprire i valori di cui oggi abbiamo bisogno.

      (Belluno, 14 ottobre 2000)

 

      Walter Bonatti

Sono trascorsi molti anni da quando nel 1965 Walter Bonatti lasciò l’alpinismo estremo compiendo l’ultima grande impresa in occasione del centenario della prima ascesa al Cervino: la scalata in pieno inverno in via diretta della parete nord, da solo.

Era allora uno dei massimi esponenti dell’alpinismo internazionale ma quel 22 febbraio 1965 decise di chiudere con un passato segnato da grandi imprese tutte ispirate da un’etica dell’ascesa che aveva avuto come riferimento l’alpinismo classico degli anni ’30.

L’uomo che non aveva mai concepito le scalate come una competizione con altri non poteva non entrare in contrasto con l’incombente alpinismo d’assalto; pose così fine alla sua carriera di scalatore, deluso dalla comunità alpinistica di quegl’anni con la quale ebbe sempre aspri contrasti.

Decise di trasferire il suo alpinismo estremo dalla verticalità delle pareti alle distese del mondo orizzontale alla ricerca di una propria ragione d’essere, di un modo di vivere a misura d’uomo.

Il confronto leale con la natura rimase perciò elemento imprescindibile dal quale ripartire per i viaggi d’esplorazione in tutte le terre del pianeta, portando a conoscenza di molti, durante la lunga collaborazione con il settimanale Epoca, ciò che pochissimi potevano vivere.

Cominciò così il suo straordinario pellegrinaggio in territori estremi attraverso viaggi nei cinque continenti alla ricerca della aree naturali più intatte del pianeta: in Sudamerica alle sorgenti dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni, in Australia nel grande deserto salato, sulle orme di Herman Melville sull’Isola di NuKu-Hiva (Polinesia francese), sulle Ande con l’ascesa alla vetta dell’Aconcagua, nello Zaire e nel Mar della Sonda nell’inferno del vulcani Nyiragongo e Krakatoa, in Amazzonia tra le popolazioni indigene.

Tutto questo verrà descritto nei numerosi volumi pubblicati in questi ultimi cinquant’anni anni, insieme a straordinari reportages fotografici.

Ripercorriamo, in occasione del suo compleanno, attraverso alcuni dei suoi libri e testimonianze la storia del grande alpinista ed esploratore italiano, il cui spirito d’avventura nacque dalle letture fatte da ragazzo di autori come Conrad, Melville, Stevenson e Defoe.

 

            Monte Bianco

 

“La montagna mi ha insegnato a non barare, a essere onesto con me stesso e con quello che facevo.

Se praticata in un certo modo è una scuola indubbiamente dura, a volte anche crudele, però sincera come non accade sempre nel quotidiano.

Se io dunque traspongo questi principi nel mondo degli uomini, mi ritroverò immediatamente considerato un fesso…E’ davvero difficile conciliare queste diversità. Da qui l’importanza di fortificare l’animo, di scegliere cosa si vuole essere. E una volta scelta una direzione, di essere talmente forti da non soccombere alla tentazione di imboccare l’altra”.

 

(in Montagne di una vita, Baldini e Castoldi, 1996)

 

 

      LA FARFALLA DI BONATTI

 

In Montagne di una vita (Baldini e Castoldi, 1996).

Bonatti racconta come, dopo aver dovuto rinunciare per il continuo maltempo numerose volte l’attacco finale al pilastro sud-ovest del Dru (una delle scalate più ardite per l’alpinismo internazionale e fino al tentativo di Bonatti mai portata a termine), nel crepuscolo, mentre si avvia al rifugio che lo ospiterà in attesa dell’assalto finale alla montagna, scorge una farfalla intorpidita dal gelo e vede in essa, sono sue parole, il suo stesso destino, le sue stesse debolezze e pene, il suo stesso dramma.

L’indomani giunge l’ora della partenza vissuta come un sollievo e nel descrivere un passaggio difficile Bonatti ci regala tutto il senso del  pericolo incombente: intorno a me un vuoto impressionante, fatto di gelide ombre sfuggenti dominate dal profilo vertiginoso del Pilastro del Sud-Ovest. Mentre avanza nella scalata, dopo giorni di solitudine, si stupisce e quasi s’intimorisce della propria stessa voce per il silenzio assoluto che lo circonda; è ancora il vuoto dividerlo dalla vetta, un vuoto impressionante che lo paralizza e lo rende incapace di reagire, costringendolo per almeno un’ora a rimanere immobile appeso ad un unico chiodo fino a quando ricercando dentro se stesso, riuscirà a trovare la forza necessaria per trovare la soluzione al difficile passaggio che le consentirà di raggiungere per primo la vetta del Dru.

Pagine drammatiche sono quelle che ricordano l’ascesa (con Andrea Oggioni compagno di numerose scalate) al Monte Bianco attraverso la via del Pilastro Rosso di Brouillard. La descrizione del paesaggio alpino, quando ancora i due si stanno avvicinando all’ascesa finale, esprime un’attesa fiduciosa per l’impresa imminente. Bonatti trova il tempo di soffermarsi ad osservare l’ambiente estivo del Monte Bianco e darci pagine di un sincero stupore per la natura: sente l’eco dei torrenti in valle, il rumore del vento, il ronzio degli insetti e l’odore della terra umida di quella estate di fine anni Cinquanta. Scende la sera e dai ghiacciai scaldati dal sole della giornata giunge ancora il fragore dei crolli lontani dei seracchi. Poi nel silenzio i due alpinisti attendono nei sacchi con ansia la partenza stabilita allo scoccare della mezzanotte. Comincerà allora quella che può essere definita a ragione come un’odissea bianca. Il tempo, durante la marcia di Bonatti e Oggioni peggiora, l’ascesa diventa impossibile e il rientro alla base si trasforma in una corsa drammatica sotto la neve, con folate di vento caldo che provocano un susseguirsi di slavine intorno a loro. In un vortice di variazioni atmosferiche il gelo riprende a mordere i due alpinisti, rendendo i loro abiti rigidi come corazze ma la rinuncia non è contemplata nei piani di Bonatti e Oggioni, e tre giorni dopo sono nuovamente sulla via dell’ascesa decisi a domare il Pilastro Rosso. La stagione però non dà tregua e ancora una volta i temporali si scagliano contro la coppia che questa volta però è costretta per salvarsi a proseguire verso la vetta. A 4600 metri di quota i tremendi boati dei fulmini rendono l’aria satura di elettricità e la minaccia mortale scorre lungo le piccozze; il loro procedere nel vento teso diviene una disperata fuga verso l’alto. La grandine si trasforma presto in turbine di neve mentre la visibilità diventa quasi nulla e il loro procedere si fa affannoso nella neve. Tuttavia, quasi senza rendersene conto, arrivano sulla vetta del Monte Bianco: è il 5 luglio 1959.

 

La montagna è stata per me uno dei territori d’avventura, uno degli ambienti naturali in cui ho esercitato me stesso

 

      (intervista concessa a Beppe Del Colle, Famiglia Cristiana marzo 2000)

      UN MODO DI ESSERE

 

Bonatti è da sempre in contrasto con l’alpinismo d’assalto, con l’alpinismo della corsa ai record e delle sponsorizzazioni. Questa evoluzione della pratica alpinistica è stata, come abbiamo detto, alla base della decisione di Walter Bonatti di abbandonare i canali ufficiali dell’alpinismo per seguire un cammino autonomo, libero il più possibile dai condizionamenti. Sono state numerose le occasioni in cui Bonatti ha espresso le proprie convinzioni, come nelle pagine di Un modo di essere (Dall’oglio Editore, 1989): una valutazione nettamente negativa quella di Bonatti nei confronti dell’industria di montagna che ruota intorno alle grandi imprese sportive, dove la realizzazione concreta dell’impresa alpinistica è circondata dall’alone dello sponsor, dal risultato in termini di innovazione tecnologica dell’azione, dal peso commerciale che ne può conseguire. Per Bonatti non è più lo sponsor a fare da supporto ad un’impresa bensì l’impresa a ridursi al servizio dello sponsor con tutte le implicite deformazioni.

 

La specializzazione è un altro dei problemi che colpiscono l’ambiente alpinistico, il quale dovrebbe ritornare ad essere avventura più che specializzazione e soprattutto dovrebbe rispettare una fondamentale regola: sulle montagne ci si arrampica con la fantasia e col cuore ancor prima che con i muscoli (Airone Montagna, 1977).

 

Si chiede Bonatti se fattori fondamentali parte stessa dell’alpinismo (come l’ignoto e la sorpresa) vengono a scolorirsi fino a scomparire, come possono le azioni alpinistiche essere un coinvolgimento di tutta la persona e non solamente di una parte, facendo a quel punto dell’individuo solo una componente del meccanismo organizzativo? Bonatti precisa certo come questo non significhi che ogni impresa specializzata ed estrema oggi non acquisti valore d’avventura ma il punto è individuare che cosa spinge a queste imprese, e se questo si scopre essere pressione dei mass media, bussiness e pubblicità, inevitabile è la morsa che stringe l’individuo, non più protagonista autonomo, non più padrone delle proprie scelte e delle conseguenze positive o negative che conseguono dalle proprie decisioni. Bonatti sostiene perciò che "non può sussistere avventura laddove vengono alterate peculiarità come l’incertezza, la precarietà, il coraggio, l’esaltazione, la solitudine, l’isolamento, il senso della ricerca e della scoperta, la sensazione dell’impossibile, il mettersi alla prova con i soli propri mezzi" (Bonatti nella relazione di apertura del Convegno Internazionale Montagna Avventura 2000). Un’impresa che si doti di mezzi tecnici (ad esempio il GPS) per garantirsi un perfetto orientamento non è criticabile in quanto tale ma lo è quando viene spacciata per avventura comparandola con le imprese di passati pionieri dell’avventura.

     PATAGONIA E AMAZZONIA, DUE GRANDI AMORI DI BONATTI

 

 

            La mia Patagonia

            Massimo Baldini Editore, 1986, pp.227

 

In La mia Patagonia troviamo raccolte una serie di splendide fotografie che documentano i viaggi di Bonatti nelle terre patagoniche. In tempi in cui la Patagonia è al centro dell’attenzione turistica, osservare le foto di Bonatti rappresenta una piacevole scoperta: la sensibilità di Bonatti nel cogliere la bellezza della natura patagonica riesce a produrre dei veri e propri ritratti naturali.

La Patagonia cilena si sviluppa tra il grande altopiano continentale coronato dalle vette della cordigliera e i fiordi, le isole, i canali e dall’Oceano Pacifico. Il clima, nel quale le precipitazioni nevose sono continue con venti sono impetuosi e dove quote di 1000 metri sul livello del mare corrispondono ai tremila metri sulle Alpi, dipende dalla vicinanza con l’Antartide e dall’incontro dei due Oceani e dallo scontro delle correnti atmosferiche. E’ questo l’ambiente naturale esplorato da Bonatti a più riprese nel corso degli anni a partire dal 1958, l’anno in cui per la prima volta Bonatti partecipò ad una spedizione alpinistica in Patagonia alla conquista della guglia granitica del Cerro Torre.

Dovendovi rinunciare per la mancanza dell’attrezzatura minima necessaria (nonostante il progettato ritorno previsto per l’anno successivo, che non avvenne a causa della presenza sul posto di un’altra spedizione), il gruppo composto da Carlo Mauri, l’amico italo-argentino Folco Doro Altan e René Eggmann deciderà di cambiare programma, arrivando in tal modo a scalare i 3537 metri dell’inesplorato Cerro Mariano Moreno (la più alta vetta della Cordigliera Patagonica Australe) e poi in successione la catena di cime ghiacciate sul Cordon Adela che separa la cordigliera glaciale Hielo Continental (450 chilometri di lunghezza e 50/60 di larghezza) dalla pampa che accoglie il lago Viedma. Ecco nelle parole di Bonatti il ricordo di quella spedizione: "Ricordo quelle estensioni ghiacciate come qualcosa di arcano. Le distanze perdevano il loro valore reale e tutto era immenso, irraggiungibile". (Montagne di una vita, Baldini e Castoldi, 1996).

Al termine della spedizione, in trenta ore di marcia, avevano percorso 70 chilometri tra ghiacciai e pareti.

Nel 1971 esplora per 500 chilometri quegli stessi fiordi che aveva inutilmente cercato di intravedere dalla vetta del Cerro Moreno tredici anni prima, e che rappresentavano per lui un mondo misterioso. Partì dalla penisola di Taitao per arrivare fino alla Laguna di San Rafael, alla testata del ghiacciaio, ammirando gli spazi immensi che lo circondavano, le imponenti architetture delle cime e dei ghiacciai. Le pregevoli immagini raccolte sono una splendida testimonianza di quelle distese ghiacciate che partendo dagli altipiani, risalgono le vette della cordigliera per poi precipitare nei fiordi ad ovest, sotto forma di ghiacciai vallivi. Si tratta di un ambiente polare dove però a contorno vi è l’abbondante vegetazione subtropicale che Bonatti attraversa. Lo scopo è quello di esplorare un entroterra che vede la presenza di tutte le specie vegetali patagoniche e caratterizzato da un sottobosco così fitto da rendere problematica la marcia a piedi di Bonatti.

Nel Marzo 1971, reduci dalle scalate sullo Hielo Continental, Bonatti e il suo compagno Folco Doro Altan decidono di navigare lungo l’intero corso del fiume Santa Cruz dal Lago Viedma fino all’Atlantico, con l’intento di ricordare la prima esplorazione del geografo Francisco Moreno avvenuta nel 1877, seguita a quella nel 1834 del giovane Charles  Darwin che aveva dovuto rinunciare all’impresa dopo ventun giorni per le difficoltà incontrate nel risalire con le scialuppe del Beagle l’impetuosa corrente.

Questo percorso permetterà ai due di ammirare la ricca fauna che popola le sponde del Santa Cruz: dalle volpi grosse da sembrare lupi del lago Viedma, per lunghe ore immobili ad attendere che la risacca butti sulla preda qualche pesce; ai cavalli bradi (i baguales) che osservano i due passare sulle acque a bordo del minuscolo canotto giallo; o ai guanacos che alle luci dell’alba scendono sulle rive ad abbeverarsi. Un’impresa, quella di scendere lungo il Santa Cruz, rivelatasi più difficile delle previsioni a causa della corrente impetuosa, del vento così radente sull’acqua da rendere a volte ingovernabile l’imbarcazione e delle imprevedibili maree oceaniche risalenti il corso del fiume.

Nel 1986 con due compagni ritorna sullo Hielo Continental con l’intento di compiere una spedizione in completa autosufficienza, procurandosi il cibo lungo il percorso e senza utilizzare mezzi di trasporto. Un viaggio nel quale attraversano le paludi patagoniche, le boscaglie e le foreste di giganteschi faggi magellanici. Un itinerario nel quale le difficoltà si fanno tuttavia insuperabili risultando impossibile procurarsi il cibo senza contravvenire ai divieti di caccia imposti dalle autorità, tanto da spingere i tre componenti del gruppo a rinunciare a proseguire. Ecco il ricordo dello stesso Bonatti: "Volevo spingermi in quelle immense solitudini senza mezzi tecnici, senza radio, senza aerei al seguito. Andavo alla ricerca della forza e della volontà dell’uomo antico, che esplorava il mondo contando unicamente sulle proprie forze. In Patagonia, dopo venti giorni di marcia, sono stato costretto ad arrendermi: non potevo vivere di caccia perché tutta la regione, sul versante cileno, è stata dichiarata parco naturale e quindi la caccia vi è proibita; non potevo vivere di pesca per ché tutte le acque della Patagonia sono oligotrofiche, cioè prive di qualsiasi forma di vita; le piante commestibili, poi, erano rarissime. Dentro di me c’era un’altalena tremenda tra la voglia di continuare a tutti i costi e la necessità di arrendermi. Alla fine ho trovato il coraggio necessario per cedere. E ora mi sento molto più ricco, proprio perché ho preso per l’ennesima volta coscienza dei miei limiti".

(colloquio di Duilio Pallottelli con Bonatti, in Airone agosto 1986, pp.118-119)

La spedizione assumerà per forza di cose caratteristiche alpinistiche impegnandosi nella salita ad una vetta inviolata alla quale verrà conferito il di Punta Giorgio Casari in ricordo di un amico scomparso.  Da lassù Bonatti osserverà le lontane montagne che ventisette anni prima aveva scalato.

           L'Ultima Amazzonia

            Massimo Baldini Editore, 1989, pp.207

 

Nel 1973 Bonatti decide di ripercorrere un celebre itinerario fluviale nelle regioni dell’Amazzonia venezuelana, quello compiuto tra il 1799 e il 1804 dal barone Alexandre von Humboldt, descritto nei trenta volumi del Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente.

L’avventura durerà due mesi e si snoderà lungo i corsi d’acqua Adabapo, Casiquiare, Padamo ed il grande Orinoco, a bordo di diverse imbarcazioni in uso nella zona.  Le impressioni che ne ricaverà Bonatti sono sorprendentemente simili a quelle di Humboldt che nel suo diario di 174 anni prima scriveva: “Le rive senza storia del Casiquiare, inabitate e coperte di selva, occupano la mia immaginazione. Lì, in mezzo al Nuovo Continente, uno quasi si abitua a considerare l’uomo come qualcosa che non appartenga, necessariamente all’ordine naturale. Il suolo è densamente rivestito di piante, il cui libero sviluppo non trova alcun ostacolo. I caimani e i boa sono i padroni del fiume; il giaguaro, il pécari, il tapiro e le scimmie deambulano per la selva senza timore né pericolo; abitano lì, loro patria d’origine. Questo spettacolo della natura viva, dove l’uomo non è niente, ha qualcosa di paradossale e oppressivo. Qui, in un territorio fertile, adorno d’un verde perenne, uno cerca invano la traccia dell’azione dell’uomo; si crede un esiliato in un mondo diverso da quello in cui nacque…”. Bonatti nel riportare queste impressioni svela ancora una volta quella che è la sua filosofia nell’affrontare un viaggio: storia, paesaggio naturale e avventura personale devono divenire un’unica cosa fondersi così da vivere nella natura esperienze per ogni uomo uniche.

Già nel 1967 Bonatti era giunto sull’Alto Orinoco ed era entrato in contatto con la popolazione indigena degli waikas (Yanoami), raggiungendo un loro villaggio cintato dalla caratteristica forma circolare e si era ritrovato immerso in un’atmosfera selvaggia: i piccoli indios, i cui corpi sono dipinti di rosso, brandiscono archi e frecce mentre le donne reggono i piccoli aggrappati sulle spalle. Parlano animatamente e circondano eccitati i componenti la spedizione. In seguito si ripeterono gli incontri con diverse tribù amazzoniche ma Bonatti ricorderà quell’avventura come una delle più emozionanti. A testimonianza di questo primo incontro e dei successivi rimangono le decine di foto scattate da Bonatti, pubblicate insieme ai reportages fotografici sulle terre Alte della Guayana (1975) e sulla ricerca delle sorgenti del Rio delle Amazzoni (1967 e 1978) nel volume L’ultima Amazzonia, Massimo Baldini editore, 1989. Nel libro ritroviamo i volti dipinti di scuro dei guerrieri, le attività all’interno del villaggio, la pesca delle donne con grandi cesti nelle acque dei fiumi, la faticosa raccolta della legna, il taglio dei capelli, la caccia di animali e la distribuzione delle loro carni. Delle molte foto forse una più di altre arriva ad esprimere le emozioni provate da Bonatti in queste terre: è ripresa dall’imbarcazione di Bonatti ancora a largo, al centro del fiume mentre sulla sponda un gruppo di indigeni osserva i nuovi venuti. Sono più numerosi i bambini degli adulti si intravedono una madre con il piccolo in braccio dietro un grosso albero, due imbarcazioni intagliate nei tronchi ferme sulla riva; dietro l’incredibile rigoglioso intrico verde della foresta amazzonica li sovrasta.

 

2011 – 14 settembre. - E’ mancato all’età di 81 anni Walter Bonatti, la leggenda dell’alpinismo italiano e mondiale. Alpinista estremo prima e poi esploratore e giornalista, Bonatti, nato a Bergamo nel 1930, è stato il più forte alpinista del Dopoguerra, autore di prime imprese straordinarie sulle Alpi, sul Cervino e sul Bianco. Legò il suo nome alla spedizione che conquisto il K2, nel quale fu coinvolto nelle polemiche che ne seguirono con Ardito Desio, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni, ci vollero 40 anni, ma alla fine la storie gli diede ragione, lui che a 24 anni sopravvisse a un bivacco a 8000 metri senza nulla oltre alla sua tuta.  Divenne Guida Alpina, scalando sulle sue Grigne, ma fu nel gruppo del Monte Bianco che scrisse pagine epiche della storia dell’alpinismo, a partire dalla parete est del Grand Capucin la solitaria lungo una via nuova sul pilastro sudovest del Petit Dru, diventato Pilastro Bonatti ormai crollato dopo le frane del 2005 e i cedimenti di domenica scorsa, l’invernale alla Nord delle Grandes Jorasses. Scalò l’inviolata cima del GIV a 7900 in Himalaya. La sua ultima impresa alpinistica verticale, fu la salita in solitaria della parete nord del Cervino nell’inverno del 1965.